- 06/10/2013, 20:39
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Il passo di Erodoto (Storie, III, 102,2-105,2) riporta l'esistenza di formiche più piccole dei cani, ma maggiori delle volpi, che scavando fanno uscire la sabbia aurifera. Gli indigeni organizzano spedizioni per raccogliere l'oro, portando due cammelli maschi e una femmina che ha da poco partorito e sulla quale salgono. Nelle ore più calde le formiche si riparano sotto terra: riempiti di sabbia dei sacchetti, tornano indietro al più presto, perché le formiche scoprono gli intrusi con l'olfatto e li inseguono. Essendo molto veloci rischierebbero di raggiungerli, ma a questo punto gli Indiani lasciano andare i cammelli maschi, meno veloci, che vengono quindi attaccati dalle formiche , mentre le femmine, ricordando i piccoli che hanno lasciato a casa, non danno segni di stanchezza e riescono a fuggire portando gli uomini e l'oro.
Per secoli gli studiosi hanno cercato di svelare la natura di queste favolose formiche, avanzando ipotesi estremamente diverse fra loro. Nel 1799 il conte di Veltheim (Of the Gold-dogging Ants and Griffons of the Ancients; an hypotesis), riportava che nella Grande Tartaria, dai confini del Grande Tibet alla Tartaria Cinese, erano impiegate numerose persone, per lo più schiavi, prigionieri di guerra e criminali politici sorvegliati da guardie, per il lavaggio delle sabbie aurifere che avveniva, anziché filtrandole con una pelle di camoscio, con una pelle di volpi indigene. Doveva pertanto esserne catturata una grande quantità, che verosimilmente veniva custodita nei pressi delle miniere, dove scavavano tane. Man mano che la sabbia veniva accumulata si creavano monticelli simili a formicai. I guardiani, inoltre, utilizzavano probabilmente cani. Si propagarono così racconti favolosi, confondendo tradizioni oscure con idee in parte veritiere, ma esagerate.
Una spiegazione del genere è stata avanzata recentemente da Sagar in Foreign Influence on Ancient India (1992), come pure da Jina in Cultural Heritage of Ladakh Himlaya (2009). Essi sostengono che né di formiche né di animali più grandi si tratti, bensì di minatori tibetani ed evidenziano che la parola sanscrita "pipilika" indica sia la formica sia un tipo particolare di oro: i minatori tenevano presso di sé dei cani, come fanno tuttora i loro discendenti.
Nel 1827 Paradisi (Osservazioni sopra il discorso del Sig. Baron Cuvier su le rivoluzioni del globo, 1827) riferisce un'identificazione con il corsac (Vulpes corsac).
Negli anni '90 del secolo appena trascorso, l'etnologo francese Michel Peissel ha appoggiato la spiegazione dell'equivalenza dei termini "marmotta" e "formica di montagna" nella lingua persiana, ricordata da Mauro nel suo messaggio. Egli ebbe modo di vedere marmotte all'opera mentre scavavano le loro tane in una remota regione himalayana lungo l'Indo, in un terreno sabbioso contenente oro. Peissel riferì inoltre che i Minaro, una popolazione locale, sostenevano che presso di loro era un'abitudine antica raccogliere l'oro messo alla luce in questo modo. Il comportamento degli animali era aggressivo se disturbati, in conformità a quanto narrato da Erodoto. Egli aggiunse che erano piuttosto grandi e con una coda da volpe. Il genere Marmota comprende più di una specie (nella zona descritta vive la Marmota borak) e può raggiungere una lunghezza che può arrivare a 60 cm, un peso di oltre 7 kg e la coda lunga fino a 25 cm (Cagnolaro, Gli animali vertebrati, II, 1969);.
Dihle, in I Greci e il mondo antico (1997), opta per l'assonanza tra il termine sanscrito e quello locale, riportato nel mio precedente messaggio.
Bevilacqua, nel suo commento a Le Storie (2006), ricorda che le formiche dell'oro sono state identificate "con le marmotte e altri animali" ma riporta anche la propensione di altri studiosi a interpretarle con animali favolosi, come si riscontra nei miti che pongono creature fantastiche a guardia di tesori.
Indipendentemente dalla spiegazione che si voglia dare al passo di Erodoto, il suo testo contiene la citazione di altri animali favolosi, come serpenti alati e grifoni. Ma queste sono altre ...storie.