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Mokele Mbembe: un'ipotesi alternativa - criptozoo.com
Messaggi inerenti agli animali acquatici.
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#5896
Il Mokele Mbembe è entrato solidamente nella cultura popolare come l'ultimo dinosauro superstite sulla Terra; per l'esattezza, si tratterebbe di un sauropode.
Al fascino del grande sopravvissuto esso aggiunge quello dello spirito della foresta: Mokele Mbembe significa " Sbarratore di Fiumi "; le tribù congolesi che lo conoscono con questo nome ( Solo uno dei tanti con cui la bestia è nota, dalla Repubblica Democratica del Congo al Camerun, e fino al Lago Vittoria e all'Alto Nilo ) gli attribuiscono evidentemente una funzione demiurgica, quella di modificare l'intricato reticolo del bacino idrografico del Congo, e lo temono come uno spirito maligno. A queste leggende si aggiungono svariati avvistamenti da parte di esploratori e cacciatori occidentali a partire dai primi del Novecento. Uno di questi mostrò a dei Pigmei un libro illustrato sui dinosauri, e questi subito riconobbero il N'yamala ( Ennesimo nome del mostro ) nel disegno di un brontosaurus.
Siccome già in quegli anni i dinosauri si erano prepotentemente imposti nell'immaginario collettivo, il nesso Mokele Mbembe - sauropodi divenne ben presto indissolubile, eppure avremo modo di dimostrare che, tra tutte le ipotesi possibili, questa è l'unica che può essere serenamente scartata. Intanto iniziamo con l'osservare che l'esperimento delle illustrazioni è stato ripetuto in anni recenti con i Pigmei Baka, che hanno riconosciuto il Mokele Mbembe nella raffigurazione di un rinoceronte. Ciò obbliga a riflettere su quanto l'interlocutore occidentale possa, anche senza volerlo, influenzare le risposte dei suoi interpellati, quando questi appartengono alle comunità dei moderni primitivi.
Torniamo dunque ad esaminare il mito per quello che è: se è vera la notizia dell'esistenza di pitture rupestri raffiguranti il mostro in Uganda, Kenya, Tanganica, Rhodesia e Mozambico, avremmo la prova dell'antichità della tradizione, e potremmo quindi escludere che questa sia un parto della fantasia dell'uomo bianco, alimentata da fraintendimenti nel dialogo con gli indigeni. Invece il fatto che questi ultimi descrivano coerentemente il N'yamala come un animale aggresivo e però vegetariano, arrivando ad indicare il suo cibo preferito, consistente in una liana fruttifera e nel " cioccolato della giungla ", pianta che produce grosse noci simili al cocco, induce a maggior ragione a credere che la creatura esista veramente, dal momento che nessun animale mitologico ha un'etologia così complessa e apparentemente contraddittoria: se fossimo in presenza dell'ennesima variante dell'archetipo universale del drago, questo sarebbe senza dubbio carnivoro e antropofago.
Esaminiamo allora le caratteristiche complessive del Mokele Mbembe per poi cercare di darne una spiegazione scientifica.
Va innanzitutto osservato che le varie tradizioni formano un quadro abbastanza coerente, motivo in più per credere che si fondino sull'osservazione di qualcosa di realmente esistente.
Il N'yamala ha una taglia compresa tra quella di un ippopotamo e quella di un elefante, una pelle liscia di colore grigiastro, collo e coda molto lunghi. Il collo è sormontato da una testa piccola con in punta al muso un corno o forse un dente molto lungo. L'animale avrebbe uno stile di vita anfibio, passerebbe cioè gran parte del tempo in acqua, risalendo sporadicamente sulla terraferma. Ha per tana le grotte umide affacciate sui vari affluenti del Congo. La sua dieta è vegetariana, eppure ha un temperamento aggressivo e sarebbe sufficientemente grande e forte da abbattere coccodrilli ed ippopotami; perciò tali animali sono assenti nei tratti di fiume dove vive il Mokele Mbembe. Quando si sposta sulla terraferma lascia impronte a tre dita.
La combinazione pelle liscia più collo e coda lunghi fa propendere per una collocazione tassonomica tra i rettili, ma certamente non può trattarsi di un sauropode, né di altro dinosauro. Vediamo perché: la concezione dei sauropodi come animali semiacquatici è ormai del tutto superata, eppure proprio questo è lo stile di vita del nostro mostro. E' assodato inoltre che i dinosauri dal collo lungo ( Sauropodi e prosauropodi ) vivevano in branchi, ma di Mokele Mbembe è sempre stato avvistato un solo esemplare per volta, ed anche le leggende dei negri parlano di un essere solitario. D'altra parte un intero branco di questi animali che si sposta nel fitto della foresta pluviale lascerebbe tracce talmente eclatanti da non poter essere sfuggite all'occhio degli esploratori. Infine né i prosauropodi né i sauropodi lasciavano impronte tridattile; questi ultimi hanno lasciato piste di orme fossili che hanno l'aspetto di larghe fosse circolari poco profonde, simili alle tracce degli elefanti. C'è poi il problema del temperamento aggressivo: sicuramente un sauropode che si sentisse minacciato diverrebbe una creatura temibile, ma altrimenti questi animali dovevano avere un'indole alquanto placida. Invece il Mokele Mbembe attacca regolarmente coccodrilli ed ippopotami, e non risparmia nemmeno le imbarcazioni.
A questo punto possiamo scartare senza esitazioni l'ipotesi del sauropode sopravvissuto.
Allora cosa ci rimane?
I particolari della pelle liscia e della coda lunga " simile a quella di un coccodrillo " continuano a far propendere per un rettile.
Alcuni hanno ipotizzato che si potrebbe trattare di un varano gigante. I varanidi hanno in effetti una coda lunga e muscolosa, sono ottimi nuotatori, nonché belve feroci. Inoltre nella preistoria ne sono esistite specie titaniche, come il Varanus Priscus; nessuna di queste però è vissuta in Africa. Inoltre tutti i varani sono carnivori, mentre tutte le fonti concordano nell'attribuire allo Sbarratore di Fiumi una dieta vegetariana. Hanno poi una testa grande in proporzione al corpo, il collo non è particolarmente esteso, e le zampe hanno cinque dita. Possiamo dunque scartare anche l'ipotesi del varano.
Resta un'ultima possibilità: potrebbe trattarsi di una specie gigante di tartaruga dal guscio molle.
Ho trovato questa ipotesi frettolosamente accennata nella voce " Mokele - mbembe " di Wikipedia, e, dopo attenta riflessione, sono giunto alla conclusione che si tratta di una tesi plausibile.
Le tartarughe dal guscio molle, la cui famiglia principale è quella dei trionichidi, sono presenti in Africa ed anche in Asia e Sudamerica, dove vivono specie di dimensioni ragguardevoli. Come si evince dal nome, il loro dorso è ricoperto da pelle callosa anziché da piastre cornee ed il colore è bruno - grigiastro. Hanno inoltre un collo molto lungo e assai mobile, sormontato da una testa piccola. Dunque corpo liscio e gibboso di colore grigiastro, collo lungo e testa piccola: sono le caratteristiche principali del Mokele Mbembe.
Questi animali vivono negli acquitrini alimentati dai grandi fiumi, sono ottimi nuotatori e si avventurano di rado sulla terraferma. Fin qui la loro etologia combacia con quella del mostro congolese.
L'alimentazione è prevalentemente carnivora, ma di fatto onnivora, annoverando anche diverse tipologie di vegetali.
Sono capaci di rimanere a lungo sottacqua, in apnea oppure facendo emergere solo le narici, e di far emergere all'improvviso il lungo collo per ghermire la loro preda. Anche questi comportamenti sono congruenti con gli avvistamenti del N'yamala ed i suoi attacchi alle imbarcazioni, i quali non possono invece spiegarsi affatto con la teoria del sauropode, dal momento che il collo di questi dinosauri era piuttosto rigido e la dentatura inoffensiva.
Veniamo ora ad una particolarità anatomica dei trionichidi, e di altre tartarughe palustri, che potrebbe spiegare il tratto più bizzarro del Mokele Mbembe, il corno o dente in punta al muso.
Le tartarughe dal guscio molle hanno le narici collocate in cima ad una appendice tubolare carnosa, quasi una piccola proboscide protesa in avanti e verso l'alto. La sua stranezza e l'eventuale impossibilità di osservarla da vicino potrebbe aver portato ad assimilarla ad un dente od un corno.
Anche le grandi impronte tridattile potrebbero spiegarsi con l'anatomia dei trionichidi: le zampe di questi rettili hanno tre dita unghiute ed altre due quasi fuse insieme a formare una spatola. L'orma lasciata da un simile piede su suolo fangoso può risultare simile a quella di un arto con tre grosse dita.
Veniamo ora all'etologia.
I trionichidi hanno una reattività vivace e possono risultare molto aggressivi; si nutrono però di piante e piccoli animali. E' dunque logico immaginare che un trionichide gigante del fiume Congo si trovi a competere con i due maggiori inquilini di questa via d'acqua, l'ippopotamo e il coccodrillo, e, grazie soprattutto alla mole, potrebbe essere in grado persino di scacciarli dal loro areale. Una simile bestia parimenti non esiterebbe ad attaccare le fragili canoe degli indigeni qualora le percepisse come una minaccia. Le sue armi naturali sarebbero il becco corneo, i lunghi artigli e, stando alle leggende, una possente coda da coccodrillo. Quest'ultimo particolare non collima con le caratteristiche dei trionichidi, che hanno una coda talmente corta da essere nascosta dall'orlo del guscio. Però altre testuggini palustri, come la tartaruga azzannatrice, hanno invece coda estesa e robusta.
Si dovrebbe dunque, a mio avviso, andare alla ricerca non di specie preistoriche sopravvissute alle estinzioni di massa, siano esse dinosauri o varanidi, bensì di un essere finora ignoto alla scienza: una tartaruga dal guscio molle grande almeno quanto un ippopotamo, che, grazie all'assenza delle piastre cornee tipiche degli altri testudinati, riesce, seppur con fatica, a sostenere il proprio peso sulla terraferma, preferendo però passare la maggior parte del tempo in acqua, dove il peso non sarebbe più un problema. Questa tartaruga avrebbe collo e coda lunghi, ed un'appendice nasale carnosa. Potrebbe perciò venire classificata tra i trionichidi oppure, vista la particolarità della coda, capace forse di sferzare violentemente l'acqua, potrebbe rientrare in un gruppo affine ma distinto da questi.
Pur avendo dieta vegetariana, la sua indole non sarebbe delle più miti, rendendola un animale rischioso da avvicinare, alla stregua del rinoceronte o dell'ippopotamo. Proprio con quest'ultimo entrerebbe spesso in conflitto per il territorio, così che il Mokele Mbembe vivrebbe in zone prive di ippopotami e coccodrilli, e in certi casi potrebbe anche essere in grado di scacciare questi dalla loro dimora.
Resta un ultimo interrogativo da chiarire: perché i negri riconobbero il N'yamala prima nell'immagine di un sauropode e poi in quella di un rinoceronte?
Nel primo caso, se pensiamo alle ricostruzioni tardoottocentesche dei dinosauri sauropodi, è innegabile una loro somiglianza con la tartaruga dal guscio molle, mentre nel secondo caso, gli indigeni hanno identificato la creatura mitologica con un animale reale ma molto raro dalle loro parti, il rinoceronte, che ha alcuni tratti in comune con lo Sbarratore di Fiumi: la mole, l'irascibilità, la pelle liscia e grigiastra, ed il muso sormontato da un corno. Analogamente nel Medioevo venivano chiamati " draghi " i coccodrilli, mentre gli antichi Romani chiamavano " fenici " le specie di fagiano multicolore importate dall'Estremo Oriente per adornare i loro giardini, ed i Greci chiamavano " basilisco " un serpentello insulare totalmente innocuo.
#5899
ipotesi plausibile. Gli esemplari più grandi di queste tartarughe raggiungono 1.2 metri di lunghezza, un ippopotamo è lungo 3.7 metri. Quindi una tartaruga di 2 metri (testa-coda) potrebbe essere plausibile.

Sulle immagini è stato visto che spesso gli indigeni tendono a rendere "contento" chi fa le domande, poi bisogna vedere come sono state poste, quanto ha insistito, cosa ha capito e via discorrendo.

Certo non aver ancora trovato/visto una tartaruga di 2 metri e passa è un po' strano, è palusibile che si sia estinta di recente e che i racconti si rifanno agli ultimi esemplari rimasti.

Chissà... bisognerebbe dragare il fiume o mandarlo in secca :)
#5902
Il territorio in cui sono distribuiti gli avvistamenti è vastissimo ( Pare ci sia stato uno scontro con un grosso esemplare molto aggressivo persino nel lago Vittoria ), però se questi animali non escono quasi mai dall'acqua, e magari preferiscono uscire di notte, come gli ippopotami, è comprensibile che non si sia mai riusciti a fotografarli o filmarli.
#5922
Sono giunto a una revisione della mia ipotesi.
La leggenda del mokele - mbembe potrebbe esser stata ispirata dall'avvistamento di animali noti in un contesto inusuale.
Si tratterebbe di elefanti di foresta e rinoceronti trovati nelle zone paludose del bacino idrografico del Congo.
In particolare l'elefante è un animale che ama l'acqua, ma preferisce vivere in ambienti abbastanza asciutti, come le foreste, perché gli acquitrini per un animale della sua taglia possono risultare insidiosi. Eppure la vegetazione lussureggiante e la possibilità di un ottimo nascondiglio dai bracconieri possono attirare alcuni esemplari in questo habitat per loro insolito. Allora, dovendo attraversare specchi d'acqua di una certa profondità, l'elefante si immerge lasciando visibili in superficie soltanto l'ampio dorso e la proboscide sollevata " a periscopio ". Osservato da una certa distanza e attraverso l'intrico vegetale può suggerire l'immagine di un rettile imponente dal lungo collo serpentino. A questo punto subentrerebbe l'immaginazione, mossa dalla necessità di interpretare, e quindi identificare e razionalizzare, questa apparizione fuori dall'ordinario, che verrebbe così assimilata ad un animale di taglia notevole la cui presenza nelle paludi è ben nota agli indigeni; si tratta della trionice, grande tartaruga dal guscio molle che può superare il metro di lunghezza. Ecco dunque delinearsi l'immagine di una tartaruga gigantesca, dall'imponente corpo liscio di colore grigiastro, un lungo collo e una testa piccola, con in punta un corno o un lungo dente, corrispondente all'appendice carnosa con cui termina il muso delle trionici, la cui esatta natura può risultare di difficile comprensione.
Infine la fantasia popolare avrebbe aggiunto una lunga coda di coccodrillo, animale ben presente nell'immaginario degli indigeni, in quanto principale minaccia nelle aree acquitrinose.
Sono stato spinto a formulare questa nuova ipotesi dalla scoperta della presunta esistenza di almeno un altro mostro nei medesimi territori, l'emela - ntouka, " l'uccisore di elefanti ".
Questo sarebbe un essere dalle fattezze sauriane, quadrupede, poco più grande di un elefante, con una lunga coda di coccodrillo ed un imponente corno in punta al muso, con il quale sarebbe in grado di uccidere qualunque essere gli si avvicini, compresi i grandi pachidermi, avendo un'indole fortemente aggressiva nonostante la sua alimentazione sia vegetariana.
A questo punto le paludi del Congo iniziano ad apparire un po' troppo affollate di criptidi per sostenere un'interpretazione letterale delle leggende, il che mi porta a propendere per la spiegazione culturale qui proposta.
Continuando su questa linea, i nomi dei mostri risultano illuminanti circa la loro esatta natura. Mokele - mbembe significa " sbarratore di fiumi ", e ciò porta a pensare ad una sua connotazione demiurgica: questo essere, con lo spostamento del suo corpo immane, altera il corso dei fiumi. Emela - ntouka, " assassino di elefanti ", sembra un nome costruito seguendo la medesima tendenza iperbolica, per cui ci troviamo davanti ad un demone dall'incredibile forza distruttiva ( Parallelamente il mokele - mbembe mette in fuga gli ippopotami, ed è interessante comparare tutto ciò con la notizia presente in Plinio secondo cui i draghi sono ghiotti di carne di elefante ).
All'origine potrebbe trattarsi semplicemente del rinoceronte, occasionalmente avvistato immerso nelle acque delle paludi ( Mentre normalmente predilige ambienti asciutti ), condizione che porterebbe a far viaggiare la fantasia, la quale gli ha attribuito caratteristiche talmente simili a quelle del mokele - mbembe ( In particolare la coda da coccodrillo ) da lasciar pensare che le due tradizioni si siano influenzate a vicenda.
Per quanto riguarda le enigmatiche impronte a tre dita lasciate dal mokele - mbembe, tutte le volte che sono state mostrate ad esploratori occidentali si sono dimostrate indistinguibili dalle orme di elefanti ed ippopotami, ulteriore indizio che lascia pensare alla presenza occasionale di grandi animali generalmente noti in relazione ad altro contesto.
Anche la notizia secondo cui il mokele - mbembe sarebbe goloso di una certa pianta può spiegarsi con il ritrovamento frequente di piste di impronte associate alla presenza di quella specie vegetale, della quale evidentemente si nutrono gli elefanti.
C'è poi la leggenda secondo cui un mokele - mbembe sarebbe penetrato in un certo lago e lì ucciso e divorato dagli indigeni che abitano le sue sponde, dei quali tutti quelli che avevano mangiato le carni dell'animale sarebbero in seguito morti. Mi sembra evidente che si tratti di un caso di punizione divina per aver ucciso e mangiato l'animale sacro, un motivo mitologico che in Europa è ben rappresentato dal tòpos del banchetto dell'unicorno.
Infine una terza creatura può essere ascritta a questa famiglia mitologica, il kongamato. Questo sarebbe un enorme essere volante, con ali membranose come quelle dei pipistrelli, un corpo glabro di colore rosso, simile a quello di una lucertola, artigli forti ed un lungo becco pieno di denti. Il suo nome significa " assalitore di barche ", e gli indigeni del bacino del Congo gli dedicano un particolare rito ogni volta che si accingono a traversare un corso d'acqua.
" Assalitore di barche " è evidentemente un nome analogo a " sbarratore di fiumi " e " assassino di elefanti ", che rivela la vera natura del Kongamato: si tratta dell'incarnazione delle molteplici minacce connaturate all'attraversamento di un bacino d'acqua, e, di conseguenza, il kongamato è oggetto di un apposito rituale apotropaico.
Infatti esso compare all'improvviso piombando dal cielo, ed il fatto di avere sia il becco che i denti gli conferisce una natura sfuggente, difficile da inquadrare, proprio come molteplice e imprevedibile è la natura dei pericoli che simboleggia.
Anche in questo caso è possibile identificare un animale noto che può aver fatto da modello: i grandi pipistrelli della giungla africana, il cui aspetto è universalmente ritenuto rivoltante.
A questo punto sarebbe opportuno verificare se nella cultura locale il colore rosso è espressione di una qualche simbologia, e se l'avvistamento di animali da pelliccia divenuti glabri in seguito a malattie come la rogna sia considerato un presagio nefasto.
Chi ha una formazione prettamente scientifica potrebbe esser rimasto deluso da questa analisi, ma per me che sono un umanista è comunque un risultato affascinante l'aver portato alla luce una tradizione in tutte le sue sfaccettature e possibili significati. Inoltre penso che studi come questo siano importanti tanto per i naturalisti che per gli umanisti, perché dimostrano quanto possa essere complessa l'interazione tra natura e cultura.
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